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Bonomi confindustria serve fondo europeo per le imprese contro Stati Uniti

by Atreju
January 18, 2023
in Italy
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Bonomi confindustria serve fondo europeo per le imprese contro Stati Uniti
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DAVOS – “In Ucraina, la ricostruzione non dovrà essere solo economica, ma sociale. Nella mia prima missione ero stato a Bucha, dove sono stati accolti molti bambini sfollati. Quegli sguardi non te li dimentichi”. Carlo Bonomi è appena rientrato da Kiev, ma anche a Davos il presidente di Confindustria continua a sentir parlare molto di Ucraina. Lo incontriamo pochi minuti dopo l’intervento di Ursula von der Leyen al Forum. La presidente della Commissione Ue ha promesso di continuare a sostenere l’Ucraina. Ma il cuore del suo discorso è stato un altro. E Bonomi non l’ha del tutto apprezzato. Così come il presidente di Confindustria non sembra apprezzare l’esile presenza del governo italiano al Forum. O le critiche alla Bce. 

Presidente, Davos è dominata dallo spettro di una guerra commerciale tra Usa ed Europa. Cosa ne pensa?

“Stati Uniti e Cina non stanno cambiando le regole del gioco: stanno cambiando il gioco. Quello che io vedo mancare nel dibattito, soprattutto quello italiano, è che Cina e Stati Uniti stanno spingendo molto su questo”. 

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L’Inflation reduction act è protezionista. L’Europa come dovrebbe reagire?

“E’ un provvedimento che riguarda la competitività. E’ una spinta trasversale che riguarda tutti i temi e tutte le filiere. E in risposta, Ursula von der Leyen ha rilanciato ieri un’idea di Confindustria”. 

Intende il fondo sovrano europeo?

“Che però è solo green, invece dovrebbe tenere tutto a 360 gradi. Inoltre non possiamo affrontarlo con l’uso di strumenti come gli aiuti di Stato. Favoriscono solo i Paesi che hanno  spazi di manovra fiscale”.

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Tipo la Germania. Quindi lei è contrario all’altra proposta formulata ieri da von der Leyen di cambiare le regole sugli aiuti di Stato?

“Nel 2022  gli aiuti di Stato autorizzati dall’Unione europea sono stati 540 miliardi Ma il 49,3%, quasi la metà, li ha utilizzati la Germania. Il 29,9% la Francia. L’Italia il 4,7%. Ci vuole un intervento europeo comune e trasversale a tutte le filiere. Solo così le risorse diventano adeguate e non si rompe il mercato unico”.

Von der Leyen non dice nulla su come dovrebbe essere finanziato. Lei cosa suggerisce?

“Eurobond. E dobbiamo avere un fondo sovrano che si occupi delle terre rare, per esempio. La reale sfida che abbiamo di fronte non è tanto l’autonomia differenziata quanto invece l’autonomia industriale europea. Noi non abbiamo le materie prime e gli Usa e la Cina fanno la corsa per accaparrarsene la proprietà. Il fondo sovrano deve servire anche a comprarle. E dobbiamo chiederci cosa significa ‘sostenibile’. Per esempio: per le batterie serve il cobalto, ma come viene estratto? Dai bambini sfruttati in Congo. E il fondo sovrano europeo dovrebbe imporre condizioni completamente diverse”. 

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Ma la guerra dei protezionismi non è una guerra da cui rischia di rimanere schiacciata soprattutto l’Europa?

“Assolutamente. La nostra è un’industria di trasformazione, non possiamo permetterci battaglie protezionistiche, a maggior ragione in Italia. A ogni crisi noi abbiamo retto gli impatti economici dal 2010 in poi grazie all’export. Se cade quella componente, crolliamo. Non ci dobbiamo focalizzare sui protezionismi americani ma su come fare l’Industria 5.0 in Europa”.

Però se gli Usa attraggono aziende italiane con condizioni fiscali più favorevoli, come fa a non essere un problema per l’Italia?

“Se dovessimo guardare a chi delocalizza per condizioni migliori all’estero non ci sarebbe più l’industria italiana… ma a questo dovrebbero servire le riforme organiche di fisco e lavoro che la politica continua a rinviare”

Dalla Cina arrivano due notizie clamorose: cresce solo del 3%, è in decrescita demografica. In Germania e in Europa si riflette molto su come ridurre la dipendenza da Pechino. Non ci vorrebbe anche in Italia?

“Il fatto che la Cina cresca così poco è un problema, per noi. Se implode è un guaio per tutti. Quanto alla Germania le racconto questo episodio che trovo molto significativo. A Praga ho incontrato il mio omologo tedesco Siegfried Russwurm, presidente Bdi. Mi ha detto che la Germania ha fatto tre errori fondamentali: ha demandato la difesa agli Stati Uniti, l’energia alla Russia e la tecnologia alla Cina. Oggi ci siamo accorti che dobbiamo ripensarci completamente. Non ho mai visto i colleghi tedeschi così preoccupati. Ma nell’ultimo anno si sono aperti degli spazi enormi per l’Italia a livello internazionale. E non solo per l’industria. Potremmo giocare un ruolo importante”.

Ma il governo italiano qui a Davos non c’è.

“Immagino ci siano importanti dossier da sbrigare a Roma. Ma forse qualche spunto di riflessione si può cogliere nei numeri: 52 capi di stato, 370 ministri, 600 amministratori delegati da tutto il mondo. Io sono arrivato qui perché mi confronto con colleghi e omologhi di tutti i Paesi sulle prospettive dei prossimi mesi. A Stoccolma a novembre con le 40 confindustrie europee unite abbiamo detto alla politica che bisogna convergere sulla sfida della competitività: nessuno può vincere da solo”.

C’è un altro tema importante: l’Italia è rimasto l’unico Paese senza salario minimo. Non è una vergogna?

“L’Europa pensa a una direttiva perché c’è un dumping di salari e molti paesi europei non hanno la contrattazione collettiva. Ma in Italia oltre l’80% dei lavoratori rientra nei contratti nazionali. Però è vero che ci sono dei settori dove il salario è indecente. Per me 4 euro lordi è qualcosa di inaccettabile. Ma ciò non avviene nell’industria: nella scorsa legislatura si proponeva il salario minimo a nove euro lordi all’ora e i nostri minimi contrattuali sono al di sopra”.

Ma i precari? I salari d’ingresso?

“Il problema vero sono i contratti degli altri settori: c’è la volontà politica di cambiare questa situazione? E guardi ai rinnovi: Confindustria ha rinnovato tutti i contratti, gli statali e i servizi no. Infine: gli aumenti dei salari dovrebbero anche rispettare la curva della produttività. Comunque, se vogliono fare il salario minimo, siamo pronti a confrontarci. Ma il trattamento economico complessivo resta ai contratti”. 

Qui a Davos si ragiona anche sulla stretta monetaria: la Bce si dovrebbe fermare secondo lei?

“C’è una narrazione che non mi convince molto. Abbiamo un’inflazione importata e sfalsata rispetto alla media Ue. Prima era più bassa, ora è più alta. Ma se guardiamo alla sua composizione e tempistica con il prezzo attuale del gas che è sceso molto, nel secondo semestre e in particolare a partire da settembre l’inflazione dovrebbe scendere significativamente in Italia. Fino a dimezzarsi, al 5-6%”.

Quindi non bisogna alzare i tassi di interesse?

“Anche qui: il problema non è la Bce. Il tasso è al 2,5% . Onestamente: può essere un problema per l’economia? Il problema vero non è forse che per tanti anni abbiamo avuto i tassi negativi e avremmo dovuto riconfigurare la spesa pubblica e ridurre il debito? Negli ultimi undici anni il nostro debito è passato da 1.900 miliardi a 2.800 miliardi e nel frattempo abbiamo raddoppiato la spesa sociale. Ma anche il numero dei poveri. ‘Colpa dell’Europa’? Non direi”.

Il debito come si taglia?

“Abbiamo 1.100 miliardi di spesa pubblica. Possiamo riconfigurare il 4-5%. Abbiamo 3.900 partecipate pubbliche, un terzo delle quali in perdita. Può capitare. Ma 1.200 hanno più consiglieri di amministrazione che dipendenti. Possiamo pensare di rivedere quella spesa. C’era bisogno della flat tax, di fare un forfait che penalizza i dipendenti e costa 1,2 miliardi? Quella flat tax non crea crescita. Posso continuare a lungo, mi fermo a questi due esempi.”

Una manovra sbagliata?

“Condivisibile sull’energia. Ma se non si tagliano in maniera incisiva le tasse sul lavoro non ci convince. Serve un taglio da 16 miliardi concentrato sotto ai 35mila euro di reddito, due terzi a favore dei lavoratori, un terzo per le imprese. Significa dare 1200 euro in più ai lavoratori, cioè una mensilità aggiuntiva”.

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