ROMA. Il braccio di ferro sulla nomina del nuovo direttore generale del Tesoro è finita con un compromesso. Alessandro Rivera, in carica dal primo governo Conte, lascia il testimone del ministero più importante che c’è a Riccardo Barbieri. Barbieri è una vecchia conoscenza al Tesoro: da diversi anni è responsabile della divisione «analisi finanziaria», in sostanza il capo economista del governo. Il suo era l’unico curriculum fra quelli vagliati da Giorgia Meloni e dal ministro Giancarlo Giorgetti in grado di occupare quel posto: venticinque anni fra J.P. Morgan, Morgan Stanley, Bank of America-Merrill Lynch e Mizuho International.
Quello di Barbieri è l’unico nome che in questi giorni non era rimbalzato fra i papabili. E la ragione è semplice: non era fra quelli graditi a Palazzo Chigi, che gli avrebbe preferito Antonio Turicchi – attuale presidente di Ita – Cristiano Cannarsa, amministratore delegato della Consip, la società pubblica per gli acquisti centralizzati dello Stato o il commissario Consob Paolo Ciocca. «Alla fine l’ultima parola la metterà Giorgetti», aveva profetizzato un collega ministro di Fratelli d’Italia. E così è stato. Questa sera al consiglio dei ministri Giorgetti porterà anche altre due nomine, la prima una conferma, l’altra no. Biagio Mazzotta, anch’esso nel mirino dei partiti durante la discussione della Finanziaria, resta come Ragioniere generale dello Stato. Cambia invece la potentissima responsabile dell’amministrazione del personale, che sarà Ilaria Antonini.
Barbieri troverà sul tavolo lasciato libero da Rivera molti problemi irrisolti anzitutto dalla politica: il destino di Ita, su cui c’è una trattativa aperta per la vendita ai tedeschi di Lufthansa, di banca Monte dei Paschi di Siena (per la quale c’è un impegno con l’Europa a uscire dalla maggioranza pubblica del capitale) e delle acciaierie dell’Ilva, ormai in crisi perenne. Il direttore generale del Tesoro è colui il quale parla con gli investitori internazionali del debito italiano e dovrà essere la voce del governo a Bruxelles nel delicato negoziato per la riforma del patto di Stabilità.
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