Ritmi techno, atmosfere jungle e drum’n’bass per le Quattro stagioni: Samuel dei Subsonica porta Vivaldi nel mondo dell’elettronica. L’album si intitola La cena del tempo per l’etichetta Stellare. “Per il momento oltre al disco c’è un podcast in cui si ascolta anche la drammaturgia dell’omonimo spettacolo che abbiamo realizzato lo scorso anno a Torino”, spiega Samuel. “Ma il mio desiderio è che diventi uno spettacolo teatrale vero e proprio”.
Ascoltando l’album si ha l’impressione che lei porti Vivaldi in una sorta di rave: avrà certamente saputo che oggi non è più così semplice.
“Amo le sfide complicate e del resto è proprio in momenti come questi che bisogna portare la gente a fare cose di cui tutti in questo momento hanno paura. In realtà non è un rave, semmai è un rave della storia, perché è vero che una volta a teatro si andava a fare baldoria, non erano i luoghi pettinati ed eleganti di oggi. Allora era come andare in un club, a svagarsi e a divertirsi. La realtà è che questo progetto nasce casualmente, mi è capitato come tutte le cose che ti fanno scoprire cose che conosci poco o non conosci”.
Com’è nato questo progetto?
“Sono stato incaricato dall’organizzazione che a Torino si occupa di Buonissima, un evento dedicato alla cucina, di realizzare un progetto sulle musiche di Antonio Vivaldi, di cui la mia città conserva gli spartiti originali nella biblioteca nazionale. Mi sono preso il mio tempo per ragionarci su, per immergermi nella musica barocca, un mondo ancora vivo e certamente non facile da trattare. Mi ha aiutato una coincidenza davvero singolare: mi sono trasferito da due anni a Venezia e vivo nel sestiere in cui è nato e cresciuto Vivaldi. L’ho interpretato come un segno, un allineamento cosmico”.
Come ha lavorato sulle musiche?
“La cena del tempo è nato ascoltando la musica di Vivaldi e rendendomi conto di quanto essa sia radicata nel nostro dna, soprattutto armonicamente. Il lavoro è proseguito cercando di individuare i punti in comune tra quanto ho sempre fatto io e la musica di Vivaldi, cosa che mi ha riportato agli anni 90 quando la jungle e la drum’n’bass ha cambiato la musica dance. Ho scoperto che le due musiche stanno perfettamente insieme, essendo molto simili dal punto di vista dell’incipit ritmico. Prima ho reinterpretato sei arie vivaldiane, poi ho pensato che intorno a ciò potevo costruire una vera e propria opera teatrale in cui il pubblico fosse insieme a me parte del racconto”.
Qual è il tempo di cui si parla nel podcast e nello spettacolo?
“La musica è fatta di armonia ma anche di tempo, se non esistesse il tempo non esisterebbe la musica, resterebbero soltanto le note senza un vero senso. Per la mia esperienza di musica, soprattutto nei Subsonica, il tempo è fondamentale, in alcuni nostri dischi la batteria copre quasi la voce. Poi però c’è anche il tempo che passa: con Laura Venturini, che ha scritto lo spettacolo con me, abbiamo cercato di illustrare il desiderio umano di fermare il tempo: a tutti piacerebbe non invecchiare, far durare la giovinezza in eterno. D’altro canto, senza il rincorrersi del tempo non potrei fare musica”.
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Non mancano arie cantate da un soprano.
“Abbiamo fatto quello che all’epoca si chiamava pastiche e che consisteva nel prendere delle arie già esistenti e cambiare il libretto o, viceversa, prendere un testo e riscriverne le musiche. L’abbiamo chiamato elettro-pastiche cambiando le parole e dando una veste elettronica alla melodia. Abbiamo fatto ciò che negli anni Sessanta facevano con le cover in italiano di brani stranieri”.
Per una volta lei si nasconde come cantante, è stato difficile?
“Per me, nato e cresciuto facendo musica per cantarla, è sempre complicato ma era inevitabile anche perché ovviamente non ho quel tipo di vocalità. Per me mi sono ritagliato la parte musicale e fortunatamente abbiamo trovato libera in quel momento Claudia Graziadei cui affidare le parti cantate. Una voce straordinaria, una cantante molto versatile”.
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Nel 2017 ha partecipato al Festival di Sanremo e nel 2021 tre dei partecipanti erano anche ospiti nel suo disco solista. Cosa pensa del cast di quest’anno?
“Quando ho visto Colapesce, Willy Peyote e Fulminacci, già ospiti del mio album sul palco dell’Ariston per me è stata una soddisfazione, felice di vedere un Sanremo rigenerato che dà spazio a cose nuove, tutte persone che già anni fa meritavano di andarci. Anche i Coma Cose, di cui sono un fan. Oggi però si è creato un meccanismo da talent, devi regalare tutta la tua vita musicale e il tuo potere contrattuale allo spettacolo perché ti viene raccontato che altrimenti non lo puoi più fare. La cosa che temo è che la voglia di esserci, il pensiero che ci sia poco tempo per fare le proprie cose, porti queste creatività a mimetizzarsi nel mezzo del panorama del mainstream, alla ricerca della classifica e dello streaming. Ho sempre detto che una volta a Sanremo bisogna andarci, due è già pericoloso, se vai tre volte invece significa che ne hai bisogno. Un tempo succedeva il contrario, era Sanremo a cercarti. Pur di avere i Subsonica cambiarono le regole, io cantai addirittura con due microfoni”.